Home Cultura e Società A ritroso nel tempo. Le antiche neviere che cosa erano? A cosa servivano? Inquadramento storico-sociale

A ritroso nel tempo. Le antiche neviere che cosa erano? A cosa servivano? Inquadramento storico-sociale

by Antonio Ferragamo

A ritroso nel tempo. Le antiche neviere che cosa erano?  A cosa servivano?  Inquadramento storico-sociale

Continua il mio contributo volto alla valorizzazione e promozione culturale   della nostra Irpinia.  Tra le mie ricerche   d’ indagine   ho ritenuto significativo l’argomento delle neviere o “nevere” per il peculiare aspetto sociologico-culturale, volto a testimoniare, il connubio inscindibile dell’  ingegnosità  dei nostri avi,  partendo dagli elementi naturali che li circondavano. Faremo un salto a ritroso   nel tempo, quando la vita era legata ai ritmi biologici della natura in una cornice   estremamente rurale. Vi parlerò di   “attività” scomparse   che non sono più praticabili perché soppiantate dalla tecnologia domestica. Uno spaccato di vita vissuta fatto di stenti e sacrifici per sbarcare il lunario, durato fino alla metà del Novecento, ma anche di curiosità e aneddoti inediti.

Le antiche neviere che cosa erano?

Il termine neviera è ormai in disuso. Indicava un luogo sotterraneo, utilizzato per immagazzinare la neve caduta nei mesi invernali, sotto forma di ghiaccio, da utilizzarsi sia per la conservazione di alimenti sia per refrigerare bevande.  Possiamo dire che le neviere erano    enormi freezer dell’antichità. La collocazione della neviera non era affatto casuale. Veniva scavata nelle zone più   ombrose e ventilate, con l’ingresso verso nord, per garantire la conservazione del ghiaccio fino al   periodo estivo. In alcune zone come Monteforte erano scavate nella pietra tufacea e raggiungevano dimensioni importanti, con un diametro di quasi 10 metri e una profondità di dodici metri.

La lavorazione della neve 

 La neve raccolta veniva ammassata nelle neviere a strati, alternati da foglie secche, paglia e talvolta anche ginestre, in modo da creare uno strato isolante effetto “cuscinetto” volto ad   impedirne lo scongelamento.

Il ghiaccio veniva   ottenuto   pressando con i piedi la neve. Tagliato in blocchi di cinque o sei kg con appositi attrezzi a mò di sciabole, avvolto in panni di iuta e trasportato su carretti. Anche le donne partecipavano attivamente trasportando la neve raccolta con cestini in testa. Così lavorata, la neve trasformata in ghiaccio, riusciva a conservarsi per mesi, fino alla calura estiva. Coloro che lavoravano nella neviera avevano abiti molto pesanti e portavano delle ghette copri scarpa in canapa   fino al ginocchio, per un duplice effetto: sia per proteggersi dal freddo, sia per preservare la neve da contaminazioni.

L’ utilizzo del ghiaccio

Il ghiaccio ottenuto dalla lavorazione della neve veniva commercializzato e destinato alle famiglie, ai titolari di taverne, bar, trattorie ed ambulanti, volto alla preparazione di sorbetti e bibite fresche, smistate anche in Costiera Amalfitana. L’ impiego più rilevante era soprattutto destinato agli ospedali del Nolano e del Napoletano. Nella farmacopea popolare il ghiaccio si utilizzava a scopo terapeutico come rimedio per la febbre, disturbi intestinali, ascessi e soprattutto contusioni, la cosiddetta “cura del freddo”.

Le neviere principali in Irpinia

Troviamo ampia testimonianza delle neviere presenti a Monteforte Irpino. Tuttavia, quelle realizzate sul   Campo Maggiore a Montevergine, nel comune di Mercogliano a circa 1300 metri di altezza, costituivano la produzione più abbondante .Produzione talmente cospicua che, a metà Ottocento, da sola, riusciva a garantire il fabbisogno per tutta la città di Napoli. Altre neviere, si trovavano dislocate, negli attuali comuni di Avella, Mugnano del Cardinale, Summonte, Ospedaletto e nella zona nord est di Trevico. Alcune di queste ultime, furono dismesse a seguito del terremoto del 1930 mentre un’altra è stata attiva fino al 1949 ed era ubicata a qualche centinaio di metri dall’attuale zona cimiteriale di Trevico.  A Gesualdo la piazza principale antistante il castello, si chiama proprio Piazza Neviera, per una torre-magazzino a forma circolare fatto costruire da Nicolò Ludovisi che aveva la tipica funzione di neviera. A Bonito la toponomastica in più zone richiama il termine “nevera”. Una in particolare tra Bonito e Mirabella Eclano, verso la frazione Piano Pantano, in un’area molto ombrosa ove la tradizione colloca un’antica neviera. A Vallata, troviamo una via Neviera, a Sant’ Angelo dei Lombardi le fonti riportano una neviera attiva dietro il castello e ancora, nel comune di Chiusano San Domenico nei pressi dell’Eremo di San Guglielmo erano attive diverse neviere perlopiù a forma cilindrica. Ad Avellino esisteva un Vicolo della Neve così definito perché adibito alla vendita del ghiaccio.

 Il business della neve come oro bianco

Un vecchio adagio popolare recitava:  ”la neve è ricchezza” perché rimpingua le fonti sotterranee. Nel nostro caso la lavorazione della neve dava il sostentamento agli addetti ai lavori. Braccianti e contadini che nei mesi invernali non potevano dedicarsi ai lavori nei campi, sbarcavano il lunario, trasportando e ammassando la neve. Ciò è accaduto in particolare per le neviere di Campo Maggiore che dalla metà dell’Ottocento, davano lavoro a centinaia di persone, facendo la fortuna di diversi imprenditori così come ampiamente riferito dalle fonti documentali. Essendo un bel business non mancarono le gabelle e i contenziosi legali alcune delle quali   interessarono la Gran Corte dei Conti di Napoli fin dai primi decenni dell’Ottocento.

Curiosità e aneddoti

Il ghiaccio essendo un habitat ideale per molti virus e batteri fu anche veicolo di malattie come il tifo e vaiolo. Nel 1929 fu vietata la vendita di ghiaccio per uso alimentare se non preventivamente trattato. Ancora oggi è molto usuale sentire esclamazioni   tra i più anziani del tipo: “ma’ è proprio nà nevera” (è proprio un ambiente ghiacciato) entrando da un ambiente caldo ad uno privo di riscaldamento o particolarmente gelido. A testimonianza che il ricordo di questi luoghi, di queste tradizioni, erano molto radicate in ognuno. Quello che adesso sembra ancestrale e quasi inconcepibile era vita quotidiana fino agli anni Cinquanta del Novecento.

Antonio Ferragamo

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