Frank Cancian: 1801 scatti per celebrare lo straordinario nell’ordinario
L’ Irpinia fin dall’antichità ha esercitato, in modo diretto o mediato, una forte attrazione, per letterati, poeti, artisti, musicisti, storici ed archeologi. Nel 1957 un giovane borsista americano, ventiduenne, di origini venete, Frank Cancian, studente di antropologia culturale, arriva in Irpinia, direzione Lacedonia. La sua permanenza, non fu affatto fulminea e si protrasse per diversi mesi, da gennaio al luglio del 1957. In questi sette mesi Cancian, gira Lacedonia in lungo e largo. Lo scopo, all’apparenza semplicistico, quasi banale, fu quello di immortalare, con la sua macchina fotografica Nikon, la vita di comunità. L’ autentico protagonista del luogo, era l’uomo comune nella sua essenziale e struggente quotidianità, nella sua spontaneità, senza pose e ammiccamenti che andavano ad inquinare l’essenza dell’immagine stessa. Anche l’immagine più semplice secondo Cancian, trasmette un messaggio recondito, profondo, che si può cogliere oltre la pura apparenza della semplicità. Cancian era a Lacedonia, non in qualità di un qualunque fotografo documentarista, tra l’altro autodidatta, ma in qualità di antropologo. I suoi scatti, ritraggono l’uomo nella sua socialità, nel suo lavoro quotidiano, in quegli attimi sfuggenti naturali. La sua attività fu essenzialmente quella di antropologo, documentata ed espressa nella fotografia, proprio la fotografia di un mondo rurale e rituale che seguiva i lavori legati alla ciclicità delle stagioni. Il corso, la piazza, la vita dei campi, le feste e la quotidianità, erano il suo sfondo ideale. L’ immagine veniva fermata, dando rilievo primario all’ espressione istantanea del corpo, del volto, delle mani, degli sguardi. L’ atteggiamento di porsi in relazione agli altri, al modo di indossare i vestiti costituivano, un quid pluris straordinario, volto a scandagliare, in una prospettiva interpretativa, il messaggio implicito oltre la semplice foto. Si innescava così, un meccanismo induttivo, partendo dal microcosmo rappresentato dallo scatto, per giungere al macrocosmo dell’interpretazione, rigorosamente soggettiva ed emozionale, assurgendo ad un’operazione quasi catartica. Il suo arrivo nella Lacedonia di fine anni 50’ destò, almeno inizialmente, non poche perplessità negli abitanti del posto, che, poco erano abituati, a vedere stranieri che se ne andavano in giro a fotografare. Si pensò, addirittura che si potesse trattare di una spia americana, intenta a raccogliere informazioni fotografiche, per documentare la situazione socio-economica dell’Italia. Dopo l’iniziale diffidenza, Cancian conquistò la fiducia dei cittadini di Lacedonia, fu ospitato al meglio, integrandosi a pieno nel tessuto sociale. Le foto scattate a Lacedonia furono ben 1801. Con queste foto Cancian aveva saputo far emergere alla massima potenza il genius loci, l’animus di Lacedonia che poteva ottimamente rappresentare il paradigma di ogni comunità dell’ entroterra del Sud Italia. A questo incipit, essenzialmente di taglio antropologico- artistico produttivo, prodromico, se ne ricollega un altro, altrettanto se non ulteriormente sorprendente che tiene questa storia sospesa per ben sessanta anni. Trascorsa la permanenza a Lacedonia, Cancian torna negli USA. Da studente di antropologia, diventa professore all’ Università di Irvine, in California. Trascorre trent’anni a studiare le comunità messicane e le foto scattate a Lacedonia, giacciono in un cassetto, riposte in una scatola di piccole dimensioni. Solo per caso non verranno cestinate. Questa storia, che sembrava ormai conclusa, improvvisamente si ravviva e riprende un percorso a dir poco stupefacente. Tutto il materiale prodotto nel 1957 da Cancian, venne inviato, alla Pro Loco di Lacedonia e attualmente costituisce il fulcro del MAVI, il Museo Antropologico Visivo Irpino situato proprio, nel centro di Lacedonia, in un edificio dell’ottocento, brillantemente ristrutturato. Il progetto, fu ideato a seguito della pubblicazione del libro dello stesso, Cancian: “ Lacedonia, un paese italiano,1957”. La vera motivazione del progetto, si ricollega anch’ essa ad un evento quasi fortuito. Una persona originaria di Lacedonia, ma residente altrove, navigando in rete, scorge una foto di sua madre. Incuriosito, ne ricerca la fonte della pubblicazione e risale al Prof. Cancian. Ad agosto del 2017 venne inaugurato il Mavi e il Prof. Cancian dopo sessant’ anni, torna a Lacedonia per tagliare il nastro. Da allora gli scatti del Prof Cancian hanno sbalordito, incuriosito, stupito e fatto piangere, non solo chi dopo sessant’ anni si è rivisto in quelle foto, ma anche chi ha a cuore, le radici della civiltà contadina dell’entroterra meridionale, serbatoio di tradizioni e di cultura materiale ed immateriale che Cangian aveva saputo cogliere nella sua essenziale fugacità. L’ immagine nell’ analisi etnografica ed antropologica è immediatamente fruibile, creando un collegamento immediato tra chi realizza l’opera, la scena ritratta e il fruitore dell’opera stessa. A buon diritto, Cancian, risulta essere maestro della fotografia etnografica ed antropologica ed è riuscito a dare voce alle immagini fotografate. Immagini di vita disperatamente quotidiane. Purtroppo è notizia di pochi giorni fa che il Prof. Cancian è passato a miglior vita. Il legame profondo e indissolubile, con Lacedonia, ha portato in questa terra, non solo nuova linfa culturale, ma soprattutto, quel quid novi che contribuisce e contribuirà sulla scia di Cancian , a dare, adeguato rispetto, in un’ottica di promozione e miglior valorizzazione, a tutte le comunità appenniniche dell’ Italia Meridionale, evidenziandone, il ruolo nevralgico che da sempre hanno avuto, quali attori della storia italica.