Home Cultura e SocietàArte Irpina Flumeri. Il sepolcro del vescovo Nicola Rubino

Flumeri. Il sepolcro del vescovo Nicola Rubino

by Raffaele Masiello

Nella chiesa di Santa Maria Assunta di Flumeri sul lato destro è situato un pulpito piuttosto maestoso composto da vari marmi policromi riutilizzati, provenienti da vari edifici sacri di Flumeri. 

Tra le varie architetture riutilizzate riconosciute va certamente segnalato il monumento funebre del vescovo Nicola Rubino, noto anche come Niccolò de Rubinis, che fu presule di Lacedonia dal 1486 al 1505. 

Tra i vari resti marmorei sopravive un bassorilievo raffigurante la Deposizione di Cristo o Cristo morto nel sepolcro, due raffigurazioni dello stemma del vescovo decorate con le insegne vescovili, alcune lesene e un iscrizione funebre, sempre marmorea, che recita: 

NICOLAUS, MARINI FILIUS, RUBINUS EX /

OPPIDO FLUMERI ORIUNDUS, LAQUE-/

DONIENSIS EPISCOPUS, CENOBIO DIVI /

SEVERINI PARTHENOPENSIS OLIM /

DICATUS TITULUM SIBI MORIENS /

EX TESTAMENTO FIERI IUSIIT /

SEXT KL AUG ANNO SALUTIS MDV

Del vescovo Nicola Rubino sì conosce troppo poco. Le poche notizie note ci vengono dall’iscrizione funebre e dalla tradizione erudita. 

Sappiamo che proveniva da un’importante famiglia flumerese, i Rubino, la quale fu, per conto dei Signori di Flumeri, feudataria dei suffeudi flumeresi di Francitelli e di Romana canuta.

Nacque a Flumeri, ma ignoriamo la sua data di nascita, anche se possiamo ipotizzare che avvenne verso la metà del XV secolo. Il padre  si chiamava Marino, la madre non è nota. 

Intraprese la vita religiosa entrando nell’ordine benedettino, non sappiamo se subito nel cenobio benedettino di San Severino di Napoli, uno dei più importanti e influenti della città partenopea, o in un seguente momento. È certo che nel monastero napoletano si distinse per le proprie qualità e proprio per questo venne elevato al seggio vescovile.

Il 2 giugno 1486 venne ufficialmente nominato da papa Innocenzo VIII vescovo di Lacedonia, dove rimase fino alla morte avvenuta l’8 agosto 1505. A Lacedonia, concluse i lavori di ricostruzione della Cattedrale e promosse la decorazione della stessa acquistando e facendo realizzare numerose opere d’arte. 

Nonostante lo stretto legame con la sua sede episcopale il vescovo Rubino rimase sempre legato alla sua comunità d’origine e soprattutto al convento francescano di Flumeri – oggi non più esistente-, dove il 27 luglio 1505 dispose di essere seppellito e dove fece realizzare un importante monumento marmoreo funebre.

  Purtroppo in un’epoca imprecisa, forse a causa di qualche terremoto, il monumento andò distrutto. Già durante la prima metà dell’Ottocento, nella testimonianza di Pietro Paolo Falcone, si dice che del monumento era conservato solo «una tavola di fino marmo lavorata con bassorilievi, con l’immagine dell’Ecce Homo [!], circondata dalle Armi e dalle Insegne del Maestro Rubino [?]», nonché l’iscrizione funebre.

Ignoriamo la forma originale del monumento, così come ne ignoriamo l’autore. Tuttavia tenendo presente i monumenti funebri dell’epoca è probabile che fosse presente anche una scultura raffigurante il vescovo defunto.

A seguito del terremoto del 1930 che distrusse quasi tutti gli edifici sacri della comunità, i resti del monumento furono trasportati nella ricostruita Chiesa Madre e riutilizzati come decorazione della base di sostegno del pulpito. 

Pregevole è il bassorilievo con la raffigurazione del Cristo morto nel sepolcro, o Cristo deposto. 

La mancanza dei segni della passione, a parte la corona di spine, ha fatto ipotizzare che si trattasse di un Ecce Homo, ma la presenza del cassa – sepolcro, al cui interno è il Cristo, non lascia campo ad altre ipotesi. L’unico segno della passione ancora evidente è la corona di spine.

La figura protagonista, o meglio l’unica, è il Cristo, la cui plasticità muscolare è bene definita. Spicca tra l’altro anche l’apparato venoso nelle braccia. 

Il Cristo sembra essere in piedi, con le braccia incrociate sulla zona del pube, la quale è coperta da un telo. Le gambe non sono visibili perché nascoste dal telo e dalla cassa.   

L’unico elemento dello sfondo, che attesta che la scena si svolge all’esterno, è costituito da due nuvolette scolpite ai lati del Cristo. 

La profondità della scena è data proprio dalla cassa del sepolcro, le cui linee creano una sorta di prospettiva ingenua. Un ulteriore segno di profondità è dato dal telo che trabocca dalla cassa.
 © Testo e foto R. M. (la foto del pulpito è presa dal web) – Tutti diritti riservati.

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